| Decisioni dolorose
E’ proprio vero che le persone non si rendono conto quanto dolore e quanta delusione provocano in chi le circonda. Ci sono due categorie ben distinte di gente; quella che sopporta senza proferir parola questo carico di emozioni negative e quella che cede al primo ostacolo, senza provare a lottare o riscattarsi. Non sapevo dove pormi. Non rientravo in nessuna delle due. - Perdonami! Mantenni lo sguardo basso, fissando quel semi riflesso di me che si vedeva nella mia tazzina di caffè. Il mio volto era impassibile, normale come sempre, apparentemente calmo. Ma dentro di me, nel profondo del mio cuore, una parte urlava furente, reclamando vendetta, mentre un’altra sembrava sul punto di suicidarsi dal dolore. Mi sembrava di essere divisa in tre parti ben distinte, non collegate da alcun nesso logico. -Le ho chiesto consigli in campo forense, prendendo come esempio il modo di fare di suo padre, e a poco a poco ho cominciato ad affezionarmici… Picchiai un pugno sul tavolo con forza, facendolo sobbalzare dalla paura. - Perché mi stai dicendo questo?! - Semplicemente perché ho commesso un grossissimo errore. - ADESSO BASTA! Scattai in piedi, fulminandolo con lo sguardo. Era emersa la parte carica d’astio che riposava in me. Ed ora non si sarebbe fermata facilmente, avrebbe detto le cose come stavano; avrebbe chiuso questa sciocca partita una volta per tutte, per sempre. - Nessuno di noi due ha sbagliato! Abbiamo solo preso decisioni diverse! E le une non riguardano all’altro; non hai nulla di cui preoccuparti! Stavo meschinamente mentendo a me stessa, come se credessi che in quel modo avrei potuto placare quel tumulto di emozioni che mi ghermivano con artigli oscuri, che mi facevano piangere e strillare. - Ma io… - Con le scuse non si può cambiare il passato, non servono! Ormai quello che è successo è successo. Mi misi una mano in faccia, sospirando. Non avevo neppure il coraggio di guardarlo negli occhi, di dirgli ciò che provavo nei suoi confronti. Ero una codarda… ma lo facevo solo per il nostro bene. Se nascondevo la verità era solo per questo motivo; avrei solamente provocato ulteriore sofferenza se avessi parlato. - Dopotutto… io non faccio parte della tua vita privata. Siamo solo colleghi, no? Perciò dei tuoi sentimenti non dovrebbe fregarmene nemmeno. Con la coda dell’occhio scorsi il dipingersi del suo viso di un’espressione sorpresa e, chissà per quale motivo, al contempo delusa. Provai una dolorosa fitta nello stomaco. Non mi piaceva affatto l’idea di essere stata io a provocare questa sua reazione, nonostante ciò che era successo. Però non mi sarei immaginata di vedere in due modi diversi chi mi stava davanti. Sembrava che con un occhio lo guardassi come se fosse un angelo… e con l’altro mi sembrava di scorgere semplicemente un nemico. Era davvero assurdo come fossero cambiate così radicalmente le cose. - E’ ora di tornare al lavoro, Edgeworth. Mi allontanai in fretta da lui, evitando appena in tempo che potesse capire che quella frase aveva provocato in me un imminente pianto. Mi morsi un labbro per evitare di singhiozzare, facendolo sanguinare, e serrai con forza le palpebre per far sì che le lacrime cominciassero a sgorgare copiose. Sarei arrivata a tutto pur di non vederlo in quello stato, pur di non soffrire ulteriormente entrambi. Anche a costo di evitare di ripetere questa stessa scena, mi sarei fatta da parte con garbo, silenziosamente, per far sì che fosse esattamente come se non fossi mai esistita. Come se non fossi mai entrata a far parte della tua vita. Come se non mi fossi mai innamorata di lui. … - E’ sicura della decisione che vuole prendere, signorina von Karma? - Più che certa, signore. La mia lettera di richiesta per il ritorno nella procura di Berlino fece rabbrividire il procuratore generale. Non si aspettava certamente un gesto del genere da parte mia, poi, apparentemente senza alcuna giustificazione. Per qualche tempo ero riuscita a proseguire serenamente col mio lavoro, facendo come se nulla fosse accaduto, evitando meccanicamente Miles Edgeworth per quanto più potevo cercando solo di parlargli per lo stretto necessario riguardante il nostro lavoro da procuratori capi. Dopo il nostro discorso, raramente ci ritrovavamo assieme, da soli, a conversare come un tempo riguardo al lavoro e alla vita quotidiana come facevamo solitamente prima di quel dannato San Valentino. Sembravamo due poli uguali di una calamita, finivamo col respingerci con forza. Ma ora non ce la facevo proprio più. Ogni volta che incrociavo il suo sguardo supplichevole, carico di scuse, provavo una fitta al cuore. Perché lo faceva? Perché si sentiva in colpa? Si divertiva nel vedermi soffrire a causa sua? Se davvero amava quella donna, non aveva nulla da farsi perdonare. Dopotutto io ero una semplice collega, giusto? Solo una semplice compagna di lavoro… “Non posso continuare in questo modo…”. Non era più sopportabile il peso che quella sensazione opprimente portava appresso. Non avrei più retto, prima o poi, e sarei scoppiata. Avrei rischiato non solo di provocare ancor più sofferenza alla mia povera anima in pena, ma anche tristezza e sensi di colpa nella persona che amavo. Non potevo permettermi di vederlo soffrire, sarebbe stato fatale per me. Almeno lui doveva vivere felicemente, senza troppi problemi, assieme alla sua bella. Perciò, nonostante fossi rimasta in America proprio per lui e per rimanergli accanto il più possibile, era finalmente giunta l’ora di ritornare nella mia madre patria, la Germania, e cercare di scordare tutto. Dovevo ricominciare, dal principio, la mia vita un’altra volta. - Si rende conto di cosa comporterà la sua scelta? Le converrà rinunciare al caso che le è stato appena assegnato, se non vuole impazzire a furia di andate e ritorni tra la sua terra e la nostra. - Non sarà di certo un problema fare qualche viaggio in più, mi creda. L’importante è che io riesca a ritornare in fretta a casa mia. In effetti era vero ciò che mi stava dicendo il superiore. Eppure ero così determinata a continuare il mio progetto; mi sarei caricata talmente tanto di lavoro da non aver più tempo per riflettere sul passato. Avrei finito, forse, col dimenticare tutto a furia di fatica. - Allora non si vuole proprio ricredere? - La mia partenza sarà un bene per tutta la procura. E poi, se ha paura nel perdere un procuratore capo, si ricordi che c’è ancora un’altra persona con la mia stessa carica. - Senta, procuratrice, ha ancora tempo per pensarci prima che io ufficialmente approvi, se vuole. - Non mi serve. Non bastò il suo volto corrugato in un’espressione di dispiacere per farmi cambiare opinione. Sarei andata fino in fondo, qualsiasi fossero state le condizioni. Tutto, pur di andare via. Bastò solo un suo movimento della biro che il desiderio si realizzò immediatamente. Soddisfatta, dopo averlo ringraziato con un inchino, mi avviai verso il mio ufficio per cominciare a mettere in ordine le mie cose per la partenza. Dovevo cominciare sin da subito, se volevo andarmene al più presto. Compilai gli ultimi documenti, riordinai i fascicoli, svuotai scaffali e cassetti dalle varie scartoffie e raccoglitori, impacchettai per bene ogni cosa. Dopo aver sistemato questo, restava solo la mia scrivania. Spensi il computer, tolsi la targhetta col mio nome, chiusi l’agenda per infilarla nella mia borsa ed afferrai la mia giacca dopo aver rincalzato la sedia. Per ultima cosa, chiamai gli addetti ai trasferimenti per far sì che spedissero gli scatoloni con tutto il mio materiale alla mia destinazione. La stanza, in un attimo, era rimasta vuota. Chiusi gli occhi, inspirando a fondo l’aria che aleggiava in quel luogo a me caro per ricordarlo meglio. Avrei lasciato un pezzo di me, lì, e chiunque avesse preso il mio posto avrebbe sentito ancora la mia presenza e avrebbe forse compreso cosa mi aveva convinta a fuggire. Dopotutto non servono solo parole per capirsi a vicenda: basta uno sguardo, oppure percepire attraverso altri sensi ciò che era successo nel passato. Ancor oggi potevo sentire i passi di mio padre su quel pavimento, vedere la figura esile di mia madre che scrutava il paesaggio fuori dalla finestra e mia sorella che riordinava ogni cosa prima di uscire per tornare a casa. Una lacrima corse lungo il mio viso, precipitando a terra. Mi asciugai gli occhi con il dorso della mano, furiosa, cercando di contenere questo sfogo di improvviso sentimentalismo. E poi bastò solo alzare lo sguardo per scorgere un pacco distrutto rimasto sulla mia scrivania. Mi avvicinai a passo lento, lo afferrai e cominciai a scartarlo. “Perché…?”. Con il vetro infranto, ridotto in mille pezzi lucenti, una cornice racchiudeva in sé una foto. Sorrisi amaramente, cominciando a singhiozzare. Sapevo che non sarebbe servito a nulla piangere, che non sarebbe cambiato niente, che non sarebbe bastato per cambiare le cose, però ne sentivo il bisogno. Il dolore montava in me, mi opprimeva, e mano a mano si tramutava in rabbia cocente, indomabile, carica di astio. Gettai a terra il regalo per quell’uomo, rompendolo ulteriormente, premendoci sopra perfino il tacco del mio stivale per ridurlo in briciole. Afferrai una scheggia di vetro e la strinsi con forza nel pugno, finendo col bucandomi la mano. Il sangue cominciò a colare lungo il braccio, potevo sentirne l’odore metallico simile a ruggine e il pulsare vivo della vita, il dolore acuto che provavo mentre lo vedevo sgorgare fuori di me. Era un’immagine davvero orribile e assurda al tempo stesso, piena di sadismo e masochismo. Ma tutto quello che provavo nel ferirmi non si avvicinava minimamente a ciò che vagava dentro il mio corpo. Avevo fatto tutto questo, ero arrivata a comportarmi in quel modo sciocco, per colpa di una persona che non aveva ascoltato nessuno dei miei segnali e che non li aveva interpretati, per chi mi aveva ignorata e trattata come una semplice sconosciuta, per colui che mi aveva condotta alla pazzia totale. Non meritava questa soddisfazione. Ed io non ero degna di continuare a vivere così, tra sofferenze e dolore. Vi è un limite ad ogni cosa. Cominciai a correre velocemente, diretta verso la mia villa, tenendo la testa bassa ed evitando gli sguardi curiosi e allibiti dei miei colleghi. Lasciai alle spalle la mia stazione di lavoro e quella foto raffigurante noi due sorridenti abbracciati. Avevo definitivamente chiuso col passato una volta per tutte, per sempre. --- Ecco un altro nuovo (e penoso) capitolo. Cosa ne pensate, sinceramente? Può andare o è raccapricciante?
Edited by Lady_Angel_Pao^^ - 4/2/2011, 21:00
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